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Il segreto del successo del Canone di Pachelbel
Il brano che probabilmente ha avuto maggiore eco nella produzione musicale di tutti i tempi è il Canone e Giga in Re maggiore per tre violini e basso continuo composto nel 1680 da Johann Pachelbel (1653-1706).
I primi ad “attingere” al tema del canone di Pachelbel furono addirittura Mozart nel Flauto Magico e Haydn nel Minuetto del Quartetto op.50 n.2.
È però nel XX secolo che dilaga la passione per la composizione del maestro di Norimberga: molti musicisti non si limitano solo a “citare” parti del canone o a eseguirlo con ritmi moderni e gli strumenti più disparati ma addirittura a basare sulla sua struttura interi brani.
Let it be dei Beatles, No woman, no cry di Bob Marley, With or without you degli U2 sono i più famosi degli oltre trenta titoli che ripropongono lo schema del canone originale eseguito da tre violini che poggiano su una linea di basso continuo(1) suonata dal violoncello. Leggi il resto di questa voce
L’assoluta novità del Ratto dal serraglio di Mozart
È davvero difficile elencare, senza rischiare di omettere qualcosa, le novità presenti nel Ratto dal serraglio di Mozart. Quest’opera, composta nel 1780 su libretto di Gottlieb Stephanie e basata su una favola germanica della metà del XII secolo, ha per oggetto l’amore contrastato tra Florio e Biancofiore, figli, il primo, di un sultano d’Oriente e, la seconda, della contessa d’Auvergne, prigioniera del sultano.
Con questa composizione il maestro di Salisburgo non solo dà vita a uno dei pilastri del Singespiel germanico ma offre anche una testimonianza dell’evoluzione che in quegli anni stava vivendo la società mitteleuropea. Emergono infatti gli ideali umanitari di concordia e fratellanza propugnati da Giuseppe II e la volontà illuministica di superare le discriminazioni verso le popolazioni di fede islamica. Leggi il resto di questa voce
La scelta della tonalità di un brano
Il sistema temperato equabile è il fondamento della musica moderna. Esso determina che i rapporti tra i suoni restino costanti qualunque sia la tonalità in cui un brano è composto. Se è così, che senso ha scrivere un pezzo in do maggiore piuttosto che in sol o in si bemolle? Quando ci si riferisce alla musica vocale è presto detto: per adeguarsi all’estensione delle voci. Ma per la musica strumentale qual è il criterio?
Si potrebbe dire che tale decisione venga presa dal compositore quasi casualmente e inconsciamente. C’è però chi la pensa diverasamente.
Mathis Lussy, nel suo Traité de l’expression musicale, sostiene che ogni tonalità possiede un diverso potenziale di sonorità e colore. Secondo Francois Geveart, procedendo da do per quinte ascendenti (cioè aggiungendo diesis) si ha un aumento di brillantezza e luminosità. Viceversa, procedendo in senso discendente (aggiungendo bemolli) le tonalità tendono ad essere più cupe e malinconiche. Leggi il resto di questa voce